sabato 22 dicembre 2012

Jan Vermeer

Quasi tutto ciò che si può dire sull'arte è arbitrario: ci sono giorni in cui si è innamorati solo di Dossi Dossi e ci sono momenti nell'inverno pagano in cui agli Uffizi si può ammirare la Venere del Botticelli senza turisti giapponesi. A volte il bisogno di metafisica è così grande che non si può resistere senza contemplare la natura morta di limoni di Zurbaran, al Prado. Accanto a tutto questo slpendore non c'è dunque nessun motivo per prediligere Vermeer, ma io lo faccio lo stesso. Per quale ragione? Perchè amo le sue donne. Perchè? Perchè la fanciulla con il cappello rosso, a Washington, non apre quasi -ma un pochino si- la bocca, sulla quale appena un secondo prima ha passato la punta della lingua (intravedo i suoi denti d'avorio dietro quelle labbra umide, forse vedo addirittura luccicare una bollicina di saliva su quei denti), e questo mi fa pensare che forse stia per dirmi qualcosa e che in quella sala in America io sia l'unico a capirla, questa connazionale che parlò la mia lingua, che posso quasi toccare, che mi osserva con quel suo sguardo così olandese dall'ombra tenue sotto il selvaggio cappello color porpora che rende il suo silenzio ancor più silenzioso, un silenzio in cui si sente un orologio ticchettare in un interno olandese, secondi crudeli che mi dividono da lei, una cifra astronomica, inchiodata in tre secoli e che non riesco a pronunciare. Silenzio, mistero, intimità, i quadri di Vermeer in realtà non vogliono avere alcun museo intorno a loro, è che sono troppo forti, non vogliono che gli altri dipinti ne facciano le spese.
                                                                       Lievelingmuseum, p.41. Cees Nooteboom

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