venerdì 14 marzo 2014

Il passeggiatore solitario e la città / Rebecca Solnit

Lungo tutta la Divisadero tenendo d'occhio gli altri passanti e i locali aperti - rivendite di alcolici e di tabacchi - poi girai per la mia strada. A un incrocio un ragazzo nero vestito di scuro e con il berretto a visiera mi si precipitò incontro a gran velocità giù per la discesa, e io mi guardai intorno per valutare le possibilità che avrei avuto in caso di bisogno - voglio dire, se la regina Vittoria vi fosse venuta incontro a quella velocità, ne avreste preso nota. Il ragazzo si accorse della mia esitazione e mi rassicurò con la sua più dolce voce giovanile: "Non ce l'ho con te, è solo che sono in ritardo" e mi sfrecciò accanto, perciò io gli dissi: "Buona fortuna" e poi, quando lui si era già inoltrato nella strada e io avevo avuto il tempo di raccogliere le idee, aggiunsi: "Mi spiace di essere sembrata sospettosa, ma correvi tanto". Rise, e allora risi anch'io, e in un attimo mi tornarono in mente tutti gli altri recenti incontri con la "malavita" che avrebbero potuto significare guai e invece si erano rivelati semplici gesti di buona educazione, e fui contenta di essere stata in guardia senza allarmami. In quel momento alzai lo sguardo e, attraverso una finestra di un ultimo piano, vidi lo stesso manifesto dell'A l'heure de l'observatoire di Man Ray - il dipinto del cielo al tramonto con le lunghe labbra rosse che galleggiano in primo piano - che avevo visto un paio di notti prima attraverso un'altra finestra da un'altra parte delle città. Questo era più grande, e questa notte era più vivace; avere visto due volte A l'heure de l'observatoire mi sembrò magico. A casa in una ventina di minuti al massimo.


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